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FAQ

1.Devo fare o ho subìto una causa civile che è fuori Lecce: mi può difendere il suo studio, oppure devo cercarmi un avvocato sul posto?

Tranquilla/o! Nel caso in cui la causa si svolga al di fuori dalla propria circoscrizione, puoi comunque essere seguito/a dal nostro studio.

Ci contattati, fissiamo un appuntamento, capiamo insieme la tua posizione giuridica, decidiamo la strategia processuale più conveniente e redigiamo gli atti del processo (atto di citazione, ricorso, comparsa di costituzione, ecc...)

A questo punto, contattiamo un avvocato del posto (detto "domiciliatario") che si occuperà delle attività materiali (ad esempio, deposito degli atti, richiesta delle copie per le notifiche, partecipazione e sostituzione alle udienze).

Tuttavia, essendo il processo civile ormai telematico (nel senso che i depositi degli atti processuali avvengono tramite una piattaforma web), i rapporti con le cancellerie e il deposito degli atti avverrà da remoto. Pertanto, l’avvocato domiciliatario dovrà soltanto sostituirci in udienza mentre tutte la atre attività le svolgerà questo studio da remoto.

Inoltre, poiché l’art. 16-sexies del D.L. 179/2012, così come modificato dal D.L. 90/2014, ha introdotto il c.d. “domicilio digitale”, per i processi civili che si svolgono dinanzi al Tribunale, non occorrerà neanche domiciliarsi presso uno studio del luogo in quanto sarà sufficiente eleggere domicilio digitale presso la p.e.c. del nostro studio legale e tutte le comunicazioni di cancelleria perverranno per via telematica.

Ovviamente tutto questo comporta un risparmio in termini di tempo e di costi da corrispondere all’avvocato del luogo in cui si trova il giudice della causa.

 

2.Che differenza c’è tra separazione consensuale e quella contenziosa?

La separazione consensuale avviene di comune intesa tra i coniugi i quali assumono un accordo su tutti gli aspetti, sia personali che patrimoniali (come il mantenimento, l’assegnazione della casa coniugale, le visite dei figli, la divisione dei beni) e poi si presentano dinanzi al Tribunale per una sola udienza durante la quale il giudice, una volta esperito il tentativo di conciliazione, emette decreto di omologa con cui ratifica le condizioni di separazione proposte dai coniugi.

Dopo la separazione consensuale devono passare solo sei mesi per poter divorziare.

La separazione giudiziale, invece, si fa in causa, davanti al giudice, l’uno contro l’altro, quando marito e moglie non sono riusciti a trovare un accordo sui termini della separazione. In questo caso, si svolgerà un processo durante cui verranno discussi non solo tutti gli aspetti patrimoniali e non (mantenimento, assegnazione dei figli e della casa, divisione dei beni) ma anche l’eventuale “addebito” ovvero sia la responsabilità da attribuire a uno o a entrambi i coniugi che ha causato la fine della convivenza.

Dopo la separazione giudiziale deve passare un anno per poter chiedere il divorzio.

È evidente che è molto più conveniente la separazione consensuale in quanto comporta un risparmio di tempi e di costi. Infatti, nella separazione consensuale i coniugi possono essere seguiti dallo stesso avvocato, l’iter è più breve ed è possibile chiedere il divorzio dopo soli sei mesi.

 

3.Posso separarmi o divorziare anche se il coniuge non vuole?

Certamente.

Se l’altro coniuge non è d’accordo, è possibile presentare un ricorso per separazione giudiziale e citare in giudizio l’altro coniuge.

 

4.Posso andare via da casa se non vado d’accordo con mio marito?

Sarebbe preferibile non abbandonare il tetto coniugale.

Infatti, si può abbandonare la casa in cui risiedono i due coniugi solo se sussiste una valida ragione che potrebbe consistere in una situazione di intollerabilità della convivenza dettata da una condotta violenta (sia fisica che psicologica). Non si può invece interrompere la convivenza sulla base di semplici litigi o della constatazione che il matrimonio è ormai finito.

L’abbandono del tetto coniugale è innanzitutto una violazione dei doveri del matrimonio e, dunque, un illecito civile. Ne deriva che, in sede di separazione giudiziale, il giudice potrebbe “addebitare” la cessazione del matrimonio al coniuge colpevole che, col suo comportamento, ha decretato l’intollerabilità della convivenza con conseguente perdita del diritto a ottenere l’assegno di mantenimento e ai diritti di successione in caso di decesso dell’ex coniuge.

In taluni casi, l’abbandono del tetto coniugale potrebbe configurare addirittura un illecito penale. Infatti, nel caso in cui il marito o la moglie abbandoni la casa lasciando l’altro in difficoltà economiche potrebbero ricorrere gli estremi del reato di violazione degli obblighi familiari.

N.B. La pausa di riflessione di pochi giorni non rientra nell’abbandono del tetto coniugale.

 

5.Cosa si intende per “divorzio breve”?

La legge n. 55/2015 ha introdotto il c.d. “divorzio breve” con cui è stato ridotto il lasso di tempo che deve intercorrere tra la data di comparizione personale nell’ambito della procedura di separazione e la domanda di divorzio.

Prima di questa legge, il lasso di tempo previsto era di tre anni. Attualmente, invece, il termine per poter richiedere il divorzio è di 6 mesi nel caso di separazione consensuale ed 1 anno nel caso di separazione giudiziale decorrenti dalla data di udienza presidenziale di comparizione dei coniugi.

 

6.Mi è stata riconosciuta l’invalidità civile al 100% ma senza accompagnamento. Cosa posso fare?

Entro e non oltre 6 mesi dalla notifica del verbale della commissione medica, puoi presentare ricorso in Tribunale contro l’INPS.

In particolare, viene attivata una procedura di accertamento tecnico preventivo (ATP) dinanzi al Tribunale competente per territorio durante la quale il giudice nominerà un consulente tecnico (CTU) che valuterà la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per il riconoscimento dell’accompagnamento. Se l’esito della CTU sarà positivo, il giudice omologherà l’accertamento dei requisiti sanitari e concederà l’indennità di accompagnamento, ivi compresi gli arretrati.

 

7.Ho fatto un incidente stradale come è meglio muovermi per avere un risarcimento danni da parte della compagnia assicurativa?

Per una rapida risoluzione del sinistro e per meglio proteggersi dalle strategie delle compagnie assicurative, è preferibile farsi assistere da un legale.

Il tuo avvocato invierà subito una messa in mora all’assicurazione chiedendo il risarcimento del danno subito nella percentuale rispondente al caso concreto e corredando la lettera (da inviare via p.e.c. o A.R.) con tutta la documentazione necessaria. Se sarà possibile raggiungere un accordo stragiudiziale, l’iter terminerà nell’arco di pochi mesi e verrà liquidato il risarcimento spettante. Diversamente, bisognerà adire il giudice e azionare un giudizio civile per vedere riconosciuto il giusto risarcimento.

 

8.Mi arrivano bollette della luce (ENEL) spropositate che non corrispondono ai consumi. Ho più volte contattato i call center ma non ho risolto il problema. Cosa devo fare?

In tutti i casi in cui ci siano problemi con i fornitori di energia elettrica e gas (per consumi stimati errati, attivazioni tardive, recesso, ecc…) è bene innanzitutto inviare un reclamo alla compagnia elettrica per contestare la fattura. Se non si ha risposta o se la risposta del gestore risulti insufficiente, si può attivare una procedura di conciliazione dinanzi al Servizio di Conciliazione ARERA. Si tratta di un servizio gratuito che si svolge on line, in conformità con la normativa europea sull'energia e sulla risoluzione alternativa delle controversie (ADR - Alternative Dispute Resolution). Questo significa che, se scegli di farti assistere dal tuo legale di fiducia (cosa preferibile) dovrai riconoscere solo un compenso per l’assistenza legale e non anche un esborso per spese di giudizio.

 

9.Ho ricevuto un avviso di accertamento IMU che ritengo non sia dovuta. Che posso fare?

Qualora la pretesa del Comune si presume illegittima, è possibile presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale.

Il D.Lgs. n. 546/1992 ha istituito le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali che sono i giudici chiamati a risolvere le c.d. "liti fiscali" comprese quelle tra i contribuenti e il Comune o il Concessionario del servizio di riscossione.

Quindi qualunque avviso di accertamento (IMU, TARI, IRPEF, IVA, bollo auto) può essere impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale o Regionale.

Per le controversie di valore non superiore a 50.000,00 euro, il contribuente deve presentare ricorso-reclamo al Comune, a pena di improcedibilità del ricorso, nel termine di 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento.

Trascorsi 90 giorni senza che sia stato comunicato l’accoglimento del ricorso-reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il contribuente può costituirsi in giudizio presso la Commissione Tributaria Provinciale, depositando il ricorso reclamo esclusivamente con modalità telematica allegando tutti i documenti che il contribuente intende utilizzare per far valere le proprie ragioni.

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